La piccola Alessia

 

Quel mattino, i suoi occhi rimasero assopiti più del solito.

Fuori la primavera bussava e al primo sole un po’ timido, uno stormo di rondini prese a svolazzare lungo il giardino in fiore, antistante la sua umile casa.

Quel dolce baccano a nulla era servito, proprio non ne voleva sapere, di svegliarsi da quel lungo sonno; tant’è vero, che la mamma fu costretta a denudarla del soffice plaid che l’avvolgeva, per scuoterla e chiamarla con decisione:

- Alessia, svegliati! Che ormai s’è fatto tardi per andare a scuola.

La voce, inizialmente vivace della povera mamma, andò via via affievolendosi e finì per assumere a ogni nuovo sollecito un tono sempre più disperato, quando ella man mano si accorse, che quel corpicino era del tutto inerme.

- Mio Dio!

Esclamò sconvolta, e senza perdere nemmeno un minuto di tempo, l’afferrò fra le braccia e corse verso l’uscio per chiedere aiuto, al primo passante che avesse incontrato.

Fortuna volle, che sopraggiungesse una pattuglia di gendarmi, che nel ravvisare da lontano la circostanza, si affretto per raggiungerla sul ciglio della strada.

Una manciata di secondi, servirono per adagiare quel corpicino già gracile di per sé, lungo il sedile posteriore del loro fuoristrada e, fatta sedere la spaventatissima mamma: la mite signora Gemma, si precipitarono giù di corsa, lungo la strada un po’ sdrucciola di quel paesello di montagna, che conduce a valle, là dove è ubicata la casa del medico condotto.

- Dottore, dottore!

Con tono ansimante, proferì la madre, appena giunti.

- Presto, presto, faccia qualcosa! la supplico.

Frattanto, i bravi gendarmi l’avevano portata in casa, sistemandola con cautela sul lettino per visita, nonostante si mostrasse un po’ fatiscente e forse un po’ vecchiotto, quanto l’esperto dottore.

I due, dottore e madre, si posero ai fianchi del lettino, l’uno di fronte all’altro. Lei, allo stremo delle forze e quasi in preda a una crisi di pianto, teneva fra le mani la piccola e gelida mano della cara Alessia; lui, invece, da buon dottore, tentò in tutti i modi di venire a capo della situazione: prese lo stetoscopio e lo pose sul torace della piccina, nella speranza di sfatare ciò che lui, ahimè, a un primo esame, già aveva sospettato.

Un susseguirsi di sguardi scandì quei pochi istanti che sembrarono lunghi una vita; tant’era la tensione che circondava quell’austero, quanto sobrio ambiente.

Mamma Gemma alzò lo sguardo e con un filo di voce, appena udibile, chiese:

- E allora, dottore che mi dice?

Il dottore, con lo sguardo spento, lasciò che lo stetoscopio gli scivolasse tra le mani e, nel passare al di là del lettino, la prese sotto braccio e con l’espressione di chi ha difficoltà a dire ciò che non vorrebbe mai dire, disse:

- Vedi… sai… la vita a volte…

BUM, BAM, CRASH !

-Alessiaaa… quante volte devo dirti di non giocare con la palla dentro casa! mi hai capitooo…?

Urlò Gemma, ancora in trance per il brusco risveglio.

Mentre la vetrata del saloncino, adiacente alla camera da letto, veniva giù in frantumi.

Alessia, coi suoi modi, poco più che ironici, nell’abbozzare un atteggiamento rattristato dalla sonora strigliata, per tutta risposta, le girò le spalle e scuotendo il capo con fare sbarazzino, sbuffò:

- Accipicchia! ci avrei scommesso… che non eri morta!!!

 

© Paolo Visconti

 

 

 

 

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